Padre Godfrey Masumange

E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato.

L’affermazione di Gesù è molto chiara, egli è disceso dal cielo perché nulla e nessuno
vada perso, tutto ciò che il padre gli ha affidato sarà salvato e non cacciato fuori. Ma
la nostra la nostra esperienza ci mette continuamente di fronte al fatto che invece noi
perdiamo qualcosa.
Perdiamo le persone care e perdiamo qualcosa di noi stessi nel fluire mutevole
dell’esistenza. Credo che sarebbe del tutto legittimo chiedersi come si possano conciliare
il dato esperienziale e quello neotestamentario, come tenere insieme l’affermazione di Gesù circa la sua missione (non perdere nulla; resuscitare nell’ultimo giorno) e quello che ci appare come il limite ultimo della morte ?
In Gen 3,23-24 Adamo viene scacciato fuori dal giardino di Eden e Dio pone cherubini e una spada fiammeggiante che impediscano l’accesso all’albero della vita.
Genesi ci fornisce, in un quadro teologico, l’eziologia della fragilità umana segnata dalla non completa disponibilità della vita, una indisponibilità che raggiunge il culmine nella morte.
La pericope di Gv che abbiamo proclamato è un frammento del Cap.6 dove è riportata
la moltiplicazione dei pani e il discorso di Gesù sul pane di vita. Egli è il pane di vita inviato dal padre, anzi è tutt’uno con il padre e lo afferma con un sono io più volte ripetuto. La vita di cui parla Gesù non è semplicemente quella biologica per la quale è necessario il pane ordinario che Adamo deve conquistarsi con il lavoro e il sudore, ma è una vita di qualità diversa.
La salvezza offerta di Gesù, nella logica giovannea, è decisamente diversa dalle offerte della ragione, delle filosofie, delle ideologie o delle deludenti speranze umane.
La volontà progettuale divina si manifesta in Cristo, ma non forza la libera scelta
dell’uomo. Vedere e credere, in Gv,sono i termini attorno ai quali ruota l’adesione di fede.
Vedere indica la presa d’atto di un incontro spirituale con il Cristo innalzato sulla croce nel dono di se come pane per la vita, ed è l’incontro che permette di scorgere la sconfitta della morte, poichè l’innalzamento sulla croce corrisponde all’innalzamento nella gloria.
Ma il solo vedere potrebbe confinare l’incontro nell’ambito strettamente intellettuale e gnoseologico. Occorre anche credere cioè aderire personalmente al Cristo incontrato, conoscere e comprendere il senso del suo essere pane e inviato.
Inviato per la vita, la vita eterna e la resurrezione.
La volontà del padre è volontà di vita, a cui aderisce il figlio volendo dare e conservare la vita dell’uomo. L’uomo desidera vivere, ha volontà di vivere e ciò che gli viene offerto
dal padre per mezzo del figlio è un di più di vita con le caratteristiche dell’eternità ( la vita stessa di Dio) e della resurrezione (la vita nuova nel figlio inviato e innalzato sulla croce).
Chiunque vede il figlio e crede in lui ha la vita eterna. Giovanni nel suo vangelo non si sofferma troppo sull’escatologia futura. Pur affermando la fede nella resurrezione futura egli riflette approfonditamente su questa intuizione: per chi vede e crede in Cristo la vita nuova è già una realtà e la morte perde il suo significato, perché il credente ha davanti a se la prospettiva della resurrezione e non della morte, anche se la sua vita biologica avrà un termine.
Grazie al risorto i cherubini e la spada fiammeggiante non chiudono più l’accesso al
giardino eterno.
Questa celebrazione eucaristica in cui commemoriamo i fedeli defunti, possa essere
momento di sosta e riflessione sulla nostra volontà di incontro e di adesione alla volontà salvifica di Dio espressa dal figlio morto e risorto come primizia di coloro che risorgono in
lui.

Categoria Riflessioni
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